E se cambiassimo il modo in cui misuriamo il progresso?

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By adubuquoy@image7.fr Giugno 10, 2025

Riflessioni ispirate a un articolo di Diane Coyle sulla ricostruzione dell’economia nell’era della digitalizzazione e della crisi climatica

Quando i numeri non riflettono più la realtà

Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, il Prodotto Interno Lordo (PIL) è stato l’indiscusso punto di riferimento per valutare la performance economica. Misura la ricchezza prodotta, calcola la crescita, classifica le nazioni. Ma oggi, questo indicatore concepito nell’era industriale non riesce più a rappresentare la complessità del mondo contemporaneo.

Perché continuiamo a misurare il progresso come nel XX secolo, quando viviamo in un’economia dematerializzata, interconnessa, satura di dati, e alle prese con emergenze ecologiche e sociali senza precedenti?

È questa la domanda urgente e sottile posta dall’economista Diane Coyle, professoressa all’Università di Cambridge e specialista in economia digitale e nella costruzione degli indicatori per le politiche pubbliche. Attraverso le sue ricerche, ci invita a ripensare ciò che valorizziamo, ciò che misuriamo — e, in modo cruciale, ciò che scegliamo di ignorare.

Un’economia digitale che sfugge al radar

Viviamo in un mondo dove una parte sempre più consistente del valore generato non transita più attraverso i circuiti di mercato tradizionali. Un motore di ricerca, una piattaforma video o un’app di messaggistica offrono un valore percepito enorme — ma senza alcuna transazione monetaria visibile.

In altre parole, il benessere reale delle persone può aumentare senza che il PIL registri alcun cambiamento. Al contrario, un disastro ecologico può far crescere il PIL attraverso le spese di emergenza — gonfiando artificialmente la ricchezza nazionale.

Diane Coyle mette in luce un paradosso fondamentale: ciò che realmente migliora la vita delle persone potrebbe non contare nulla nei conti pubblici, mentre ciò che mette a rischio il nostro futuro collettivo può apparire come “crescita economica”.

Indicatori che oscurano gli asset intangibili

L’economia digitale è anche un’economia dell’intangibile: dati, software, interfacce, marchi, reputazione, conoscenza condivisa. Questi “beni” non si consumano con l’uso, si replicano a costo marginale quasi nullo, e dipendono più dall’attenzione che dal capitale fisico.

Eppure, la contabilità nazionale continua a concentrarsi su ciò che si può toccare, pesare o immagazzinare. Sottovalutando o ignorando gli asset immateriali, essa distorce le decisioni aziendali, sottostima la crescita reale, e rende invisibili investimenti in creatività, educazione, ricerca.

Coyle chiede quindi una riforma radicale dei quadri di misurazione. Perché, come lei stessa osserva: “Ciò che non misuriamo non esiste — e viceversa.”

Un modello che trascura il lungo periodo

Un altro limite degli indicatori tradizionali è la loro ossessione per i flussi a breve termine. Il PIL non distingue tra un investimento utile (formare insegnanti) e uno spreco distruttivo (ricostruire dopo un disastro evitabile). Somma i flussi monetari senza considerare lo stato delle risorse fondamentali — naturali, umane o sociali.

Diane Coyle propone un approccio ispirato alla contabilità aziendale: un “bilancio nazionale” che monitori nel tempo lo stato delle risorse essenziali di un Paese, non solo ciò che produce.

Questo permetterebbe di includere finalmente dimensioni essenziali ma ignorate: perdita di biodiversità, fiducia sociale, salute mentale, coesione civica…

Nuovi dati, nuove opportunità

Riformare la statistica pubblica non significa solo riscrivere tabelle Excel. Significa integrare nuovi strumenti di misurazione: big data, immagini satellitari, sensori, intelligenza artificiale. Queste tecnologie consentono misurazioni in tempo reale, su scala locale, talvolta qualitative.

Esempi concreti:

  • Monitoraggio continuo delle emissioni di CO₂ via satellite
  • Analisi dei movimenti urbani per migliorare la mobilità
  • Valutazione della qualità dei servizi pubblici attraverso l’analisi semantica del feedback dei cittadini

Coyle invita a sfruttare queste fonti per ricongiungere l’economia alla realtà — anziché lasciarla vagare in modelli astratti e disconnessi dalla vita quotidiana.

Il progresso è anche una scelta politica

Ma questa rivoluzione non è solo tecnica. Essa mette in discussione i valori che vogliamo al centro della società. Misurare il benessere, l’istruzione, la sostenibilità o la fiducia collettiva è un atto politico, esplicito o implicito.

Diane Coyle non propone una verità assoluta, ma un approccio pluralista. Sostiene la creazione di “cruscotti” compositi, adattati ai contesti locali, trasparenti nelle loro assunzioni, e aperti al dibattito democratico.

Verso un’economia di senso

È arrivato il momento di porci la vera domanda: a cosa serve l’economia? È solo un gioco astratto di cifre, o uno strumento per organizzare la vita collettiva?

Per Diane Coyle, la risposta è chiara: occorre riconnettere l’economia alle sue finalità ultime — benessere umano, sostenibilità ecologica, qualità della vita.

Cambiare ciò che misuriamo significa cambiare ciò che valorizziamo. E cambiare ciò che valorizziamo significa trasformare le nostre decisioni, le istituzioni, le priorità.

È un cantiere immenso. Ma è anche un cantiere entusiasmante — perché restituisce senso all’azione pubblica, all’impresa, alla cittadinanza.

E se avessimo il coraggio di guardare da un’altra prospettiva?